Il senso dell'arte

Sto camminando senza meta in un paesino dei Sudeti. La strada che ho imboccato porta in aperta campagna, fuori dal paese...

Sto camminando senza meta in un paesino dei Sudeti. La strada che ho imboccato porta in aperta campagna fuori dal paese e costeggia una serie di casupole di legno scuro che sembrano uscite da un libro dei fratelli Grimm. Non sono i classici squallidi giardini da sette nani degli impiegati in vacanza ma si ha piuttosto l’impressione di stare in un posto dove le bisnonne sono ancora tutte vive e scoppiano di salute, dedicandosi  senza posa ad abbellire le finestre, a cucire tende, a piantare fiori e preparare oggetti deliziosi da esporre fuori dalla porta.

In una delle casette più periferiche la singolarità… una famiglia rom discute animatamente attorno a un sudatissimo parente sulla quarantina e a petto nudo che ha smontato una moto spargendo i pezzi in giro per tutto il giardino.  Lui è scuro e sudato come una carpa appena pescata e loro probabilmente stanno scommettendo sul fatto che non riuscirà mai a rimettere i pezzi al posto giusto. Qualcuno ride sguaiatamente e lui ogni tanto si gira, impreca e afferra uno dei pezzi minacciando di scaraventarglielo dietro. Chiaramente il giardino è tutt’altro che curato ma sembra piuttosto un cantiere colpito da una bomba a mano. L’accostamento con i giardini adiacenti rende la scena ancora più surreale.

Di fronte alla casa c’è un ponticello sotto il quale scorre un ruscello con un canneto. L’acqua si fa strada in mezzo agli ostacoli e in alcuni punto è più profonda e le piante che ci crescono dentro sembrano danzare tutte assieme. Trovo che tutto questo sia tremendamente bello. 

Ma appoggiato alla balaustra del ponte e provo a capire dove sia la bellezza.

Una volta il mio amico Franco mi domandò a bruciapelo durante una cena se io mi fossi mai domandato il motivo per cui la musica ci piace. Ricordo di aver trovato la domanda un po’ idiota e di averlo fissato per un po’ senza capire bene dove volesse andare a parare.

Poi mi sono cavato d’impaccio sparando qualche banalità oppure trovando il modo di cambiare argomento senza sembrare troppo maleducato. La domanda è caduta nel nulla. 

Però negli anni successivi ci ho ripensato spesso. Evidentemente la domanda non doveva essere tanto stupida. Oppure io non tanto intelligente. O entrambe le cose.

Fatto sta che ha continuato a girarmi nella testa e ho provato a dare diverse risposte, senza mai trovarne una soddisfacente. 

Qualche anno dopo ho avuto una specie di intuizione che l’opera d’arte ci affascina perché congela per qualche motivo il tempo in cui è stata concepita o eseguita e crei un momento di eternità. 

Ho provato a spiegare questa intuizione a un mio amico durante una passeggiata in campagna e probabilmente l’ho presa troppo da lontano.  – Non trovi strano che, ascoltando un brano meraviglioso in una bella esecuzione, a un certo punto il pezzo finisca? – In che senso?  – Nel senso che finisce e basta… il musicista smette di suonare e il pezzo non c’è più… – E quindi?

E quindi non capisci? Dove sta quella musica ora? Dove è finita? È possibile che quel brano sia finito per sempre, che si sia cancellato dalla storia? C’è un posto da qualche parte dove quella musica che abbiamo ascoltato esiste ancora? 

– Secondo te si? – Secondo me si. 

Non mi ero reso conto di essere caduto in una trappola. Perché il mio amico, nonostante fosse anche portato per le speculazioni filosofiche, aveva anche un gran senso pratico e il dono della logica. 

– Se quello che dici è vero allora dovrebbe essere valido anche per altre cose, o almeno per tutti i tipi di suoni… giusto?

– Si.

– E tu sei d’accordo sul fatto che una scorreggia sia un suono? 

-Si. 

Allora, per esempio, tu supponi che possa esistere un posto dove si conservano, catalogate, tutte le scorregge fatte durante la storia umana? Credi che sia possibile che esista da qualche parte un posto così?

– Effettivamente no. Anzi spero proprio di no.

Quell’uno a zero su rovesciata improvvisa mi aveva fatto capire che non avrei recuperato e ho lasciato perdere. Lui non avrebbe capito, neanche io.

Però non ho smesso ancora di rifletterci… Perché alcune opere d’arte ci affascinano in maniera così viscerale?

A volte ho avuto l’impressione che scrivere una poesia, una canzone, dipingere un quadro o costruire una cattedrale è come fare un orecchio nel libro della storia. È un segnalibro che magari servirà a qualcun altro per ritrovare quel punto in mezzo a un casino di altre cose che succedono e che succederanno.

Perché la vita succede, le cose capitano e qualcuno le racconta. E li per li può sembrare che l’arte sia una imitazione della vita. Ma poi le cose passano, gli eventi arrivano e finiscono. Le ossa degli eroi che hanno fatto la storia si sbriciolano sottoterra e quello che resta è solo il racconto che qualcuno ne ha fatto. 

La storia è piena di avvenimenti, posti e persone che hanno camminato su questa terra e hanno creato, patito, si sono incaponiti, hanno amato e poi sono partiti, gente di cui non verremmo mai a sapere niente, semplicemente perché nessuno ce ne ha parlato. Interi pezzi di esistenza che sono stati tagliati via dal nastro della storia e che non potremo mai recuperare. Secoli di roba dimenticata. Però, in compenso, ricordiamo le storie di persone e fatti che non sono mai esistite nella realtà delle cose che si possono toccare. E non importa se Gilgamesh, Ulisse, Cappuccetto Rosso o Mister Hyde abbiano mai occupato uno spazio tridimensionale… perché comunque hanno un posto dentro alle persone. E se quei personaggi non sono sbucati fuori da un utero ma dalla penna di qualcuno potrebbe anche non fare tanta differenza. 

Ed è la stessa cosa con i miliardi di sentimenti, di impressioni e di sensazioni che maciniamo ogni giorno. Una quantità inimmaginabile di persone che fa in continuazione pensieri, che compra scarpe, ha fastidi, voglie, desideri, paure, illusioni, speranze, pruriti, dolori e che si avvinghia sulla vita come falene intorno a una lampadina, inseguendo sempre qualcosa e domandandosi solo raramente che senso abbia.

Che cosa è tutto questo? Dove cavolo andiamo? Perché?

Poi c’è un perdigiorno, uno di quelli che si siede al bordo della strada e guarda le persone che passano. C’è quel tipo che se ne sta li senza fare niente di produttivo e di utile, e all’improvviso guarda un paesaggio e ci vede qualcosa di unico. Gli altri non lo vedono ma lui si. Ha notato un gruppetto di case di campagna diroccate accanto ad un palo della luce sbilenco. C’era un leggero odore pungente di legna e il sole ha illuminato per un attimo una finestra che ha lanciato un riflesso. E lui in quella luce che nessuno aveva notato ci ha visto un fiume di bellezza.

Quel riflesso ha sollevato un angolino della coperta che copre sempre la realtà e lui è riuscito a guardarci dentro e a vedere il senso delle cose e l’insondabile progetto dell’eternità. È si sente come se avesse trovato un diamante, un diamante che nessun altro riesce a vedere e che lui stesso dimenticherà presto.

E quindi poi c’è il problema di come farsi un nodo al fazzoletto, di come spiegare agli altri quello che ha visto. Perché se fosse un pittore o un musicista troverebbe forse modo di scarabocchiare quella luce su un foglio o di inchiodarla dentro un accordo e magari riuscirebbe a mostrarla a qualcuno o quantomeno a ricordarla.

Invece quel signore non è Monet o Debussy, per cui quell’opera d’arte che ha creato è rimasta dentro di lui o forse si è trasformata in qualcos’altro, in un pranzo, una carezza fatta a qualcuno, un sorriso a uno sconosciuto o chissà in cos’altro. 

Le persone normalmente si accontentano di vivere, di guardare le cose, i paesaggi le persone e di ascoltare i sentimenti senza sentire il bisogno di bloccarli e trasformarli in qualcos’altro.

Per altri invece quella creazione è più importante della vita stessa che l’ha generata. Forse perché intuiscono che dietro questo scorrere delle cose e questo continuo susseguirsi apparentemente strampalato di azioni ed oggetti ci deve essere per farza qualcosa di più profondo, qualcosa che abbia il potere di ordinare gli avvenimenti in maniera sensata. 

Da bambino ero convinto che ci fosse qualcosa da capire e che una volta capita quella cosa poi si sarebbe potuto capire tutto il resto. Ma quella cosa non era un pensiero, era come un profumo. Quella voglia con la quale ti svegli e non sai cosa sia, quella sensazione che ti ha lasciato un sogno che non ricordi, quell’odore che hai sentito entrando in quella casa, dove c’erano appiccicati sopra tutti i ricordi e la nostalgia per un qualcosa che non hai neanche mai visto.

Forse è quello che cerchiamo ogni giorno, quasi sempre nel posto sbagliato. È la ricompensa per le imprese dei generali, è quello che cercano gli amanti sulle panchine e i bambini quando inseguono i piccioni, è la forma che i pittori sognano dentro alle tele bianche,  la consolazione che il povero miliardario elemosina tra gli zeri dei conti bancari. È quello che speriamo di intravedere un giorno guardando l’orizzonte dietro il mare e che i vecchi cercano fuori dalla finestra.

Magari quello che ci affascina dell’arte è che ci ricorda quel qualcosa che sta sempre la, sempre pronto a farsi intravedere e scappare, senza lasciare traccia, non appena proviamo ad acchiapparlo.

Non credo di aver risposto ancora alla domanda che Franco mi ha fatto durante quella cena di tanti anni fa, però ancora non ho smesso di cercare e di provarci.